Abbandonarsi alle creazioni sapienti di Giuseppe Postorino è come sentirsi cullare da una coccola avvolgente di sapori, ricordi d’infanzia, tecnica e materia prima, in cui l’accostamento di diversi elementi comporta la nascita di risultati raffinati.
Ecco perché la scelta di lasciarci condurre, mano nella mano, da “Senza Tempo”, il percorso degustazione che ripercorre i piatti più iconici della cucina e la storia del ristorante L’Alchimia a Milano. Ma prima, un piccolo passo indietro…
Immagina una fredda e leggermente ventosa serata d’inverno a Milano, in cui i tram scorrono in sottofondo, le luci illuminano la città, in attesa dell’imminente Natale, e le persone, ormai al termine di una giornata lavorativa, camminano a grandi passi per la voglia di dirigersi al caldo delle proprie case. Entrare da L’Alchimia significa essere accolti con classe e ricercatezza e, al contempo, con la sensazione rassicurante e avvolgente di sentirsi a casa, in un ambiente di raffinata eleganza che tanto bene si addice a Milano e che sussurra dolcemente all’ospite, invogliandolo a prendersi una pausa di puro piacere per rallentare, rifugiandosi lontano dalla frenesia che scorre vivace nelle strade circostanti.
Una sala precisa, soffusa, ben arredata, comoda, confortevole in cui sentirsi subito a proprio agio, in cui abbandonarsi alle numerose attenzioni, in cui, pur con estreme cura e dedizione, non si pecca mai di eccessivo distacco o rigore, ma anzi, in cui un sorriso strappato da una battuta discreta rende l’esperienza ancora più coinvolgente. E da lì, inizia il percorso.
Da milanese cresciuta a cucina tradizionale, vengo accolta come a casa: piccoli incantevoli Mondeghili come uno scrigno di croccante panatura che rallegra e lascia il posto a un misto di carni morbido e scioglievole. Per ora, uno dei migliori assaggiati a Milano.
La prima portata circonda il commensale proprio con quel senso di casa, di affetto, di abbracci e di ricordi d’infanzia: è “Pastina senza pastina” – servita alla perfetta temperatura di degustazione. Si tratta di un brodo di verdure con Parmigiano Reggiano, in cui la pastina viene cotta e poi ripescata, per servire al commensale un brodo caldo che non solo ristora in una serata invernale, ma prepara lo stomaco, predisponendolo meglio alle successive pietanze.
Si gioca subito di contrasto con la successiva, in cui la ricciola cruda è nascosta sotto un velo di culatello in un piccolo boccone accompagnato da un assaggio leggiadro di crema di anacardi che vivacizza i sapori e la sapidità, senza sovrastarli.
È l’inizio effettivo di un menu che parla di tecnica, attenzione ai dettagli, intelligenza gustativa, estetica precisa, temperature di servizio millimetricamente perfette e piatti che affondano nella storia del ristorante con una spiccata impronta di cucina piemontese in preparazioni, ricette, ingredienti.
Emblematici i “Tagliolini in fondo al mare: salsa marinara e ragù di crostacei”, fatti a mano come nella migliore tradizione dei Tajarin piemontesi, vengono cotti direttamente nel brodo per cui si insaporiscono di tutte le sfumature dei crostacei e vengono poi impreziositi al tavolo dalla salsa marinara e dal ragù, che vanno a completare la pasta. Il profumo e i sapori che si sprigionano sono intensi, corposi, ricchi e ben presenti, senza che nessuna sfumatura venga lasciata al caso.
Il “Rombo poché, spuma di funghi, foie gras e limone salato” è un ulteriore tuffo tra le onde del mare, dove la delicatezza del rombo è sospinta da funghi e foie gras con le loro note di terra e burrose; il limone salato è la giusta accortezza che sancisce un equilibrio che mai in realtà si sarebbe comunque perso, ma dona la corretta freschezza al piatto. Imperdibile assaggio in abbinamento al pane realizzato internamente con lievito madre e note leggermente acidule che avvalorano bene il carattere di ogni portata.
Da gite tra mari e sottobosco, si torna diretti in Piemonte con l’ingrediente principe della successiva creazione – il Coniglio grigio di Carmagnola – e con la salsa rubra – molto simile al bagnèt ross piemontese – in questo caso però impreziosita da polvere di peperone crusco che la rende ancora più accattivante e di più spiccata personalità. In questo “Coniglio grigio di Carmagnola alla Wellington con salsa rubra e polvere di peperone crusco” si viaggia per l’Italia con gli ingredienti, si intercettano preparazioni estere che hanno fatto la storia della gastronomia, si reinterpretano con guizzi partenopei – tra la sfoglia e la carne di coniglio, infatti, c’è della scarola ripassata – e si unisce il tutto con fondi alla francese e impeccabile, attento servizio al tavolo. Un cerchio perfetto.
Come quello che si delinea con il pre-dessert – panna cotta e caramello in stecco – e che si conclude con il dolce, una sorta di “sbarco sulla Luna” in cui, su un piatto che ne richiama la superficie, piccole orme nere conducono a “Luna: sfera e mousse al cioccolato Caramélia con cuore di frutto della passione e frutti esotici, spugna di avocado, guacamole dolce e latte di cocco”. La sottile sfera è quasi impercettibile in consistenza ma ben presente in sapore, la mousse è un sodalizio meraviglioso con il cuore aspro e intenso dei frutti esotici: un gran bella missione nello spazio!
Dulcis in fundo, arrivano a deliziare dei piccoli cioccolatini cubici impreziositi da una leggera e non eccessivamente alcolica punta di grappa Castagner, ed essendo a una manciata di giorni dal Natale, da assaggi di panettone al caffè che chiude perfettamente il cerchio di una cena interessante, tecnica, gustosa e, nota personale, molto piacevole e non eccessivamente lunga, ma in cui il giusto mix di portate, preparazioni, quantità e intervalli rende la serata piacevole e leggiadra.
Ci si immerge di nuovo nel freddo della serata milanese, ma con un nuovo calore che accompagna nel rientro verso casa.