Il racconto del festival di Cook – Corriere della Sera. Di protagonisti, chef, produttori, scrittori, interviste e riflessioni culinarie sui miti e le origini della cucina italiana.
Si è concluso il primo Cook Fest di Cook – Corriere della Sera – che ha animato il Museo della Permanente di Milano il 4-5-6 ottobre 2024. Prima edizione sotto questo nome – in realtà il Festival di Cook spezza schemi nella scena milanese da 15 anni come “Cibo a regola d’arte” – anche quest’anno l’esperienza si è rivelata immersiva: corsi di cucina con grandi chef, maestri pizzaioli e pasticceri, talk con professionisti del settore a confronto, assaggi, mini eventi nell’evento – come le Cook Breakfast e le Cook Night -, e il Cook Market, un’area interessante in cui poter trovare prodotti selezionati e poter chiacchierare direttamente con i produttori, conoscere i tratti distintivi delle loro proposte e i metodi di lavorazione delle materie prime.
Attraverso il fil rouge del Cook Fest 2024 “pranzo all’italiana” e la relativa convivialità a tavola, si è sviscerato il concetto di italianità, toccandone le più disparate sfaccettature: tradizione, origini, miti, credenze, storia, scienza, culture, considerazioni attuali o dell’immaginario comune sono stati messi sotto la lente di ingrandimento nei talk con esponenti di rilievo della cultura gastronomica.
È così, allora, che con lo Chef Antonino Cannavacciuolo, ad esempio, si è parlato dell’importanza del fare squadra, di imprenditorialità e di un sistema sostenibile anche – ma soprattutto – umanamente parlando.
E ancora, di scelte consapevoli che il consumatore ogni giorno può mettere in atto per cambiare le regole del gioco, non tanto per il nostro mondo di oggi, ma per quello che lasceremo ai nostri figli. E se è vero che domani è il risultato delle scelte di oggi, la prospettiva comune a molti chef ed esperti in questa tre giorni è quella di prediligere sempre la qualità, sia essa di prodotto, servizio e ingrediente: dalle creazioni dei grandi chef al pane che quotidianamente mettiamo sulla nostra tavola – meglio “integro”, come lo definisce Davide Longoni, di grani selezionati antichi e macinati a pietra per conservarne tutte le proprietà, con pasta madre e farine che definiscono l’identità di un territorio, come si è visto anche con Pasquale Polito di Forno Brisa a Bologna.
Si è parlato anche di grande distribuzione, di piccoli produttori, di pomodori raccolti e lavorati ancora caldi dal sole. Non è un caso, infatti, che sempre più chef prediligano avere il proprio orto a cui attingere, perché la differenza si sente: in sapore, salute, benessere.
Di scelte consapevoli che ci permettono di vivere in armonia, serenità e salute, di cibi sani selezionati in base a un giusto mix di nutrienti e di orari in cui consumare i pasti – senza mai saltare la colazione, come suggeriscono gli esperti! – è ciò di cui si è parlato con il Dott. Franco Berrino – Medico epidemiologo, la Dott.ssa Annamaria Colao – Endocrinologa, e il Dott. Walter Longo – Biologo e gerontologo. Sardegna inclusa, che è già così identificata, può l’Italia diventare in maniera più ampia una nuova Blue Zone della longevità? E cosa significa “longevità”?
È emerso che prosperare, vivere e progredire negli anni nel pieno benessere di corpo, anima e mente sia la base della buona longevità. Che significa non solo stare bene con noi stessi, ma anche essere un enorme patrimonio per gli altri. Significa essere in grado – tra le altre cose positive – di portare avanti una memoria storica da condividere e tramandare in ricordi e racconti. Quanto però questi ricordi sono veri e quanto invece sono intrisi di miti, credenze, abitudini più che di effettiva storia e tradizione?
Ecco allora una nuova sferzata al filo conduttore dell’evento stesso – il “pranzo all’italiana” – e a quel concetto di “tradizione italiana” in cucina tanto messo sotto i riflettori in quest’ultimo periodo e tanto analizzato da diverse angolazioni. Con prospettive di rilievo, tra storia e insegnamento, come quelle di Alberto Capatti, Massimo Montanari, Michele Fino e Alberto Grandi, si toccano così miti, leggende, credenze, sfatando il più delle grandi convinzioni che per abitudine siamo inclini a dare per reali, come quelle legate alla pasta secca – impossibile da definire “artigianale”, in quanto frutto dell’innovazione tecnologica – e della pizza napoletana con Franco Pepe di Pepe in grani a Caiazzo (CE), Enzo Coccia di Pizzaria La Notizia a Napoli e Ciro Oliva di Concettina ai Tre Santi a Napoli. Il fulcro che ne esce è quello di raccontare una storia di radici, di famiglia, di farine che parlano di terre coltivate, di cura, di un ieri che deve già essere proiettato al domani. Non tanto di tradizione e innovazione, quindi, bensì più di evoluzione, chiave di volta per progredire, prosperare e continuare a migliorare oggi e in futuro. Lo stesso Franco Pepe ha sottolineato che “l’evoluzione non potrà mai esserci, a meno che non si metta in discussione la tradizione”.
Gli stereotipi che accompagnano e impregnano la cucina italiana, dal pranzo della domenica alla lasagna della nonna che per antonomasia è per forza la migliore in assoluto, paiono essere visioni un po’ distorte della nostra cultura in cucina, non però prerogativa escluisva del nostro Paese. Con la food writer e giornalista enogastronomica Emiko Davies, infatti, emergono facce di una cucina di casa giapponese che si discosta molto dall’immaginario collettivo che noi “esterni” abbiamo della cultura nipponica a tavola. Si scopre così che una semplice parola “Gohan” – anche titolo del suo più recente libro – identifica una serie di significati e gesti casalinghi: è la parola con cui si chiama la ciotola di riso che accompagna ogni pasto in Giappone, è il richiamo per indicare “è pronto, a tavola!” nelle case giapponesi, così come è il tipo di pasto che ci si accinge a fare, sia esso colazione, pranzo o cena.
Quanto allora degli stereotipi è dovuto in realtà non a memorie distorte, ma più a etichette che vengono incollate anche dalla visione che altri Paesi hanno di una cultura in cucina?
Un interrogativo che sta dilagando sempre più, che si unisce ai tanti spunti emersi da questo Cook Fest e dai talk: dal prediligere l’autenticità nel dare all’ospite ciò che viene promesso, come ha sottolineato Matias Perdomo di Contraste* Milano, al discostarsi da definizioni di format o classificazioni, pensando solo a fare buona ristorazione e accoglienza, come ha ribadito Andrea Berton di Ristorante Berton* Milano.
E ancora, di consumatori forse ancora non del tutto consapevoli di avere nelle proprie mani il grande potere di dare una direzione diversa al mondo della grande distribuzione.
O ancora, di ritorno al sapore autentico dei prodotti della terra o di ingredienti così vari e così intensi di cui l’Italia è enormemente ricca.
Spunti che emergono dalle chiacchierate a stretto contatto con i professionisti che ogni giorno contribuiscono a creare, allora, non tanto una tradizione di cucina italiana, quanto più l’identità culinaria italiana attuale a tavola: dopo queste giornate ricche di spunti, preferisco identificare così il nostro patrimonio.